giovedì 31 maggio 2012

Progetto SHOAL, geniale e realizzato

Ebbene si, il pesce-robot è davvero entrato a far parte di quei pochi geniali strumenti che sono stati inventati ma anche utilizzati!
Non il pesce robot di cui si parla in uno degli articoli precedenti, che serve a "influenzare il comportamento degli altri pesci", bensì uno che fa da "incredibile laboratorio chimico simultaneo".
Sto parlando del progetto SHOAL (Search Handfull Over And Links), realizzato dalla collaborazione di sei organizzazioni provenienti da tutta europa grazie anche a un finanziamento europeo di quasi 4,2 milioni di euro.
Grazie ai loro studi, durati tre anni, ora esistono dei "mini laboratori chimici" a forma di pesce, capaci di muoversi in mare autonomamente, mantenersi a una certa distanza gli uni dagli altri, captare e analizzare le sostanze chimiche presenti nell'acqua e analizzarle istantaneamente (fino ad oggi si doveva andare in mare, prendere dei campioni d'acqua, portarli nei laboratori a terra e astettare anche due settimane per i risultati!) trasmettendole poi alla "base" sulla terra ferma.
Il via alla parte pratica del progetto è stato dato da Gijon, in spagna, dove si trova uno dei più grandi centri anti-inquinamento con annesso laboratorio.
Grazie a questi pesci-robot si potrà anche fare una mappa dell'inquinamento.
Inutile dire quanto sia importante tutto ciò!
Soprattutto in questo momento in cui, in tempo per la bella stagione (anzi in anticipo visto che questa tarda ad arrivare..) stanno uscendo un sacco di studi e rapporti che sembrano volersi contraddire a vicenda: da una parte quelli che promuovono la maggior parte delle spiagge, dall'altra quelli che gridano all'inquinamento. Io di norma sono ottimista, e non mi piace l'allarmismo, ma a vedere tutti i casi di - macchie d'olio, pozze maleodoranti, schiume e schifezze varie, e chi più ne ha più ne metta - che stanno vessando le nostre coste in questi giorni, mi viene il dubbio che siano state promosse ma non proprio a pieni voti.
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lunedì 21 maggio 2012

Scoperti microbi che mettono in discussione la linea tra la vita e la morte

Gli scienziati danesi della Aarhus University, capitanati dal biologo Hans Røy, hanno scoperto dei microrganismi sul fondo dell'Oceano Pacifico sepolti sotto uno strato di argilla. Fin qui nulla di particolarmente strano, si erano già trovati batteri anaerobici nei posti più impensati, se non fosse che questi microbi hanno un metabolismo talmente lento che secondo i parametri utilizzati attualmente dagli scienziati dovrebbero essere considerati morti! In pratica questi microrganismi vivono in un ambiente talmente privo di ogni nutriente che si sono abituati a metabolizzare solamente minuscole quantità di ossigeno, carbonio e pochi altri elementi. Però essendo così raro il carbonio si sono adattati e assorbono l'ossigeno circa 10mila volte più lentamente dei batteri coltivati in laboratorio. Inoltre si sono "sparpagliati", allargando il loro territorio: in un millimetro cubico sono presenti solamente circa 1.000 esemplari. Analizzando la velocità di sedimentazione di quella particolare area si è poi scoperto che lo strato di argilla in cui sono stati rinvenuti i microbi dovrebbe avere la bellezza di 86 milioni di anni!! Questo significa che stiamo parlando della più antica forma di vita esistente. La scoperta è stata riportata su Science. I microorganismi sono stati analizzati al microscopio da alcuni ricercatori del Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology guidati da Yuki Morono secondo i quali grazie al loro lentissimo metabolismo i singoli microbi  potrebbero avere una vita lunga migliaia di anni, un'esagerazione per dei batteri. Numerosi articoli che riportano gli studi compiuti sul metabolismo di queste cellule sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Science. AttribuzioneNon commerciale Alcuni diritti riservati IITA Image Library

domenica 20 maggio 2012

Un mondo di plastica

Oggi pomeriggio leggevo un articolo di La Repubblica che dice sostanzialmente che l'associazione Sea at Risk, insieme ad altre, chiede agli Stati europei di accettare come obiettivo quello di dimezzare i propri rifiuti polimerici entro il 2020. Mi è subito venuta in mente la mia tesina di maturità, di ormai due anni fa.
In questa parlavo dell'inquinamento del mare dovuto alla plastica ed in particolar modo parlavo dell'Isola di Plastica, che ancora pochi conoscono.
Pochi mesi dopo la mia maturità, l'Italia diventò uno dei primi paesi a bandire le buste di plastica, che fanno infiniti più danni di quanto non si pensi, non solo per il loro materiale quanto per la loro forma! Vengono infatti spesso scambiati per prede (come le meduse, di cui sono ghiottissime le tartarughe) portando ad episodi di entanglement.
Dopo così tanto tempo io ancora vedo moltissimi negozianti e persone fare largo uso dei sacchetti di plastica..

venerdì 18 maggio 2012

Intervista a Roberto Scerbo sul Jacket Free

Spinta dalla richiesta dei clienti per un prodotto Made in Italy, la Rofos ha deciso di lanciare sul mercato un Jacket, ma solo dopo due anni di attenta progettazione e numerosi collaudi.
E' un gav tecnico di tipo "modulare" ma i dettagli lo rendono adatto anche per un uso ricreativo.
E' stato pensato per essere comodo e molto leggero (quello da 15 litri pesa solo 2.5 kg!!) ma non per questo meno sicuro. 
La prova in acqua condotta personalmente da Roberto Scerbo ha ispirato il nome del gav "Free" poiché permette una totale libertà di movimento.
Questa intervista è stata pubblicata da Isabella Maffei sulla rivista SUB.

venerdì 11 maggio 2012

La prima mostra fotografica subacquea sulla Haven


Domani verrà inaugurata una mostra di 15 fotografie riguardanti la petroliera Amoco Milford Haven posizionate proprio sulla nave inabissata, a più di 30 metri di profondità! 
La Haven è una petroliera affondata davanti ad Arenzano nel 1991 in seguito ad un'esplosione. E' anche il relitto visitabile più grande del mediterraneo, essendo lungo 335 metri. 
Le fotografie, scattate da Aldo Ferrucci e Massimo Mazzitelli, ritraggono le parti più nascoste del relitto. Una delle foto ritrae l'elica della nave che si trova alla profondità di 80 metri. Per resistere in acqua le fotografie sono state stampate con inchiostri speciali e incorniciate con acciaio inox fissate al relitto al castello di poppa e al fumaiolo. 

martedì 8 maggio 2012

Il mare: nuove tecnologie

Ho già parlato di quanto mi sembri consolante il fatto che esistano molti stupendi e partecipati progetti per difendere il mare da chi ancora non si è accorto di quanti danni stia facendo.
Per esempio è stata raggiunta la cifra di più di 23.000 schede informative raccolte dai partecipanti al Progetto STE (Scuba Tourism for the Environment) ideato dal Marine Science Group dell'Università di Bologna. Questo si prepone di raccogliere dati sulle condizioni del mare e delle barriere coralline nel Mar Rosso, coinvolgere, informare, aiutare. Partecipare è utile quanto semplice: chiunque abbia la possibilità di fare immersioni potrà partecipare ad un velocissimo corso ed essere equipaggiato con le speciali schede subacquee dove annotare semplicemente quel che vede (pesci, coralli, etc). Sono state registrate delle schede addirittura in Egitto meridionale, in Sudan e sulla costa araba!
Vorrei aggiungere che oltre a grandi e piccoli progetti di difesa del mare esistono già anche le tecnologie per attuare ricerche e difese attive.
Esempi di tecnologia possono essere RoboJelly della Virginia Tech o il pesce-robot del Cnr di Oristano e le centrali eoliche offhsore.
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Ma già da molti anni si sa dell'esistenza di microrganismi in grado di "mangiare" il petrolio disperso in mare. Pochi ne sono a conoscenza anche perché non sono mai stati utilizzati al di fuori dei laboratori. Una svolta a questa tendenza speriamo che riesca a darla la scoperta di un nuovo materiale da parte di Daniel Hashim a capo di un progetto in collaborazione tra la Rice University e la Penn State University pubblicato. L'aggiunta di boro durante la crescita di alcuni nanotubuli infatti fa si che si creino legami più robusti trasformandoli in una sorta di densa spugna. Questi "blocchi" hanno incredibili proprietà idrofobiche (galleggiano) e oleofile (assorbono sostanze oleose come l'olio di motore o il petrolio!). Sono super leggeri, flessibili, molto porosi, isolanti termici. E come se non bastasse sono riutilizzabili: bruciando l'olio ancora all'interno della spugna questa non subisce danni.
Incredibile non è vero?

lunedì 7 maggio 2012

Hanno detto di noi: Mondo Sommerso Aprile 2012

"Cosa sia la Rofos e di che cosa si occupi è di dominio pubblico, si tratta di un'azienda che progetta e costruisce mute subacquee da molti anni e che grazie alle proprie qualità professionali ed imprenditoriali, è diventata un punto di riferimento di cui il Made in Italy è fonte di orgoglio. Chi capisce, davvero, di attrezzature subacquee e in particolare di mute non può non essere d'accordo e oggi la Rofos può guardare dritto negli occhi qualsiasi altra azienda mondiale produttrice di mute. Il percorso industriale Rofos parla da solo, da sempre guardingo e attento a non compiere passi falsi con prodotti non esaurientemente testati e testati ancora, indagando e consultandosi con innumerevoli esperti del settore per capire quali fossero le reali necessità e problematiche dei subacquei. Anni trascorsi a fare esperienze con le mute umide, poi il gran passo verso le stagne in neoprene e poi ancora dopo anni, ecco il cauto ma deciso approdo al trilaminato quasi a volersi scusare per il ritardo, ma sempre con il solito risultato: successo immediato."
E' davvero gratificante aprire una rivista di subacquea e leggere frasi così elogiative e spontanee riguardo al proprio lavoro. Questo articolo in particolare è stato scritto da Andrea Neri e pubblicato da Mondo Sommerso nel numero di Aprile. 
Queste parole sono davvero "compiacenti" ma come ha scritto l'autore stesso "hanno il solo torto di essere speculari alla realtà dei fatti". 

giovedì 3 maggio 2012

La potenza delle onde spiega il mistero delle Aran Islands

Ho parlato nel mio primo post di quanto sia bello osservare la furia del mare in tempesta che si abbatte sulle coste.
Fortunatamente abitando a Genova la mareggiata più forte a cui ho potuto assistere ha fatto danni "solamente" a quelle attività a diretto contatto con le onde (le spiagge, le passeggiate mare, etc.)
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Nelle Isole Aran, in Irlanda, gli abitanti invece si sono sempre trovati dinnanzi uno dei misteri della natura: alcuni enormi massi, pesanti anche 78 tonnellate si trovano a formare una lunga fila circa 12 metri al di sopra del livello del mare. Tra chi sosteneva che fosse merito degli antichi Giganti, chi pensava che ci fosse lo zampino degli alieni, finora l'ipotesi più accreditata era quella dello tsunami. Ma ci sono numerosi indizi del fatto che non possa essere così. Per esempio che secondo i nativi e un confronto con vecchie mappe le rocce si sarebbero spostate negli ultimi cento anni mentre l'ultimo tsunami è avvenuto nel 1755. Inoltre nelle rocce sono stati riscontrati piccoli organismi che, grazie alla datatazione al radiocarbonio, sono stati fatti risalire a soli 60 anni fa.
Così Ronadh Cox del Williams College ha avanzato l'ipotesi, pubblicata su The Journal of Geology, che le enormi pietre siano state spostate dalle onde alimentate durante una potente tempesta. Le sue formule matematiche, al contrario di quelle usate finora, indicano che le onde possano raggiungere la forza necessaria poiché le coste delle isole essendo a strapiombo lasciano fondali molto profondi contro cui le onde scontrano tornando indietro con violenza.
Se si somma questa forza a quella dell'onda sucessiva si potrebbe ottenere un'onda con una forza fuori dalla norma, che potrebbe spostare quindi massi anche molto pesanti durante una tempesta classica.
Se l'ipotesi si rivelasse vera si dovrebbe cambiare il modo in cui si guarda al cambiamento delle coste portato dalle onde in tutto il mondo.